Lunghezza = 19,5 Km
Dislivello + = 850mt
Dislivello - = 850mtDislivello + = 850mt
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Il Percorso
Questa bella escursione di alto
valore naturalistico attraversa varie ambientazioni, immersi nella Riserva naturale
Farma: partendo dal pianoro del Castello del
Belagaio (raggiungibile dopo un lungo tratto di strada forestale che
imbocchiamo su un bivio a destra della SS73 in direzione Siena, poco prima
della località Piloni), alterneremo ai bellissimi boschi incontaminati nella
gola del fiume Farma dalle acque pure e cristalline, luoghi ricchi di un
passato medievale dove fiorivano ferriere e mulini, all’arido e acido suolo che,
fra pini e lecci, ci introduce nei rilievi a nord della gola, che culminano con
la salita al Monte Quoio (mt640), l’altura più elevata di Monticiano, dove
durante le Resistenza si combatterono feroci battaglie culminato nell’Eccidio di Scalvaia
dell’11 Marzo 1944. Scenderemo quindi nuovamente sul Farma nelle bellissime
cascatelle dei Canaloni, e faremo rientro al Belagaio risalendo il lungo pendio
nordoccidentale del Poggio le Macine, dove visiteremo anche un’emergenza
naturalistica della Provincia di Grosseto, volta a preservare un nucleo di
Betulle autoctone.
L’itinerario, per tutto il tratto
che si trova nel versante destro del fiume, ricalca quanto descritto
nell’ottima guida “Camminare
nella Maremma Toscana”, dove quindi rimando per un’approfondimento. La
traccia GPS che potete scaricare è comunque molto affidabile. La salita al
Monte Quoio si svolge tutta su carrarecce o cesse tagliafuoco e non presenta
particolari difficoltà nell’orientamento, così come la successiva ridiscesa nel
fiume. Da qui proseguiremo su sentiero segnato della Comunità Montana, fin dopo
il guado; successivamente saremo nuovamente allineati con quanto indicato nella
sopracitata guida, per tutto il tratto finale dell’escursione.
Il Racconto [14-05-2014]
E’ una bella mattinata
primaverile, quella che vede il Mago avventurarsi lungo le lussureggianti rive
del Fiume Farma. Nella guida “Camminare nella Maremma Toscana” avevo già letto
un ottimo itinerario, tuttavia il desiderio mio era quello di far combaciare la
cosa con la salita al Monte Quoio, che troppo spesso, da altri monti, l’avevo
osservato con quella sua spiccata forma piramidale del suo versante meridionale
fortemente a strapiombo. Il mix che ne ho ricavato tutto sommato è davvero una
bella escursione, anche perche permette di passare dai bellissimi Canaloni del
Farma, dove
già passammo una notte ai tempi del mitico Roccatrek.
Arrivo molto presto a Casa Nuova, dove si trova il Centro visite della Riserva, sono passate da poco le 6.30. La vista del Castello del Belagaio, con alle spalle la cima del Monte Quoio, è molto stimolante. In mezzo, la lunga distesa di campi dove nutriti gruppetti di cavalli già pascolano tranquilli. Più appartati, al limite del bosco, le sagome di alcuni cinghiali che si intrufolano volentieri brucando qualche radice.
Saluto un ciuchino chiuso nel suo recinto e mi incammino nell’aria
frizzante del primo mattino. La descrizione del sentiero da percorrere
inizialmente ricalca la guida ed è molto facile seguirne le indicazioni, anche
quando le tracce del sentiero sono molto labili. All’inizio si cammina su
traccia libera in mezzo ad uno sfasciume di pini per poi raggiungere uno
spiazzo da dove, in direzione nord alla mia destra, comincia un sentierino un
po’ sconnesso, molto acciottolato, e moderatamente invaso dalle piante.
Tuttavia i continui resti di alcuni muretti a secco già ci immergono in un
lontano passato, dove questo sentiero era evidentemente molto trafficato.
Alcuni caprioli ad intervalli quasi regolari scappano via veloci, ce ne devono
essere molti qui intorno. Scendo di quota fino ai 365mt d’altitudine circa, e
in corrispondenza di uno spiazzo, sulla sinistra si dirama un sentierino non
molto visibile all’inizio ed in forte discesa: è la via per raggiungere l’ingresso
della Grotta “La Tomba”.
In prossimità dell’ingresso c’è un cancellino in
metallo posto dalla Federazione Speleologica ma che, volendo, è facilmente
rimovibile; non sono certo questi i miei intenti, a me basta solo scattare
qualche foto e, in occasione di qualche scatto a caso dal buco dell’ingresso,
becco anche un pipistrello in volo!
Beccato il pipistrello!! |
Con la speranza di non averlo troppo
accecato, risalgo velocemente e rientro nel mio sentierino che in breve si
allarga mostrando ancor di più il suo antico selciato. Anche il bosco ora si
mostra più generoso lasciando ampia visuale in modo da apprezzarne ancor di più
la natura isolata e selvaggia. La presenza importante che in passato l’uomo ha
posto un questo luogo, ritorna tangibile quando, in mezzo ai cerri avvolti
dalle vitalbe, sbuca il rudere della Casetta. Se solo potessi avere la macchina
del tempo…
L'antico selciato del sentiero |
Supero la casetta e mi dirigo
verso nord puntando verso il fiume. Un sentiero molto allargato finisce per
immettersi in un altro bel sentiero, questo segnato di biancorosso, ma un po
abbandonato a se stesso. La mia traccia proseguirebbe verso est, ma prima
decido di fare una deviazione in senso opposto raggiungendo un fosso che va a
sfociare nel Farma in corrispondenza del greto di un’acciottolata spiaggetta
dove il fiume crea una profonda ansa sormontata da una parete rocciosa.
Così
tranquillo e misterioso, ancora non illuminato dal sole, questo luogo è facile
immaginarselo invece d’estate pieno di bagnanti in cerca di refrigerio in
queste fresche acque. Ritorno sui miei passi e comincio a costeggiare da molto
vicino le sponde di questo magnifico fiume, camminando in questo sentiero
spesso fra erba ancora punterellata dalla rugiada notturna.
Alcuni passaggi sul sentiero che costeggia il versante destro del Farma
I segni biancorossi
aiutano molto nel prosieguo, specie quando ci si allontana un po’ dal fiume per
via del pendio impervio, e si risale leggermente fra alberi caduti. In queste
zone era fiorente l’attività medievale delle ferriere, e capita molto spesso di
trovare cumuli di sassi o resti di muretti a secco che non lasciano dubbi sulla
presenza di qualche antico manufatto.
Risceso sul fiume, mi butto volentieri su
un largo greto per meglio respirare l’atmosfera che crea il corso d’acqua, ed
ecco che mi trovo davanti uno sbalorditivo spettacolo della potenza della
natura: sui resti di un’antica diga (o mulino) si trovano incastonati a tre,
quattro metri d’altezza rispetto all’attuale livello dell’acqua, alcuni tronchi
d’albero davvero impressionanti, resti tangibili di passate piene del fiume e
che testimoniano così la forza devastante dell’acqua.
Vi assicuro che la foto non rende! Quel tronco è enorme! |
Arrivo finalmente ai Palazzoni,
dove l’omonimo fosso si getta nel fiume, ed è proprio dove io devo guadarlo.
L’acqua non è che sia molto bassa, e forse sarebbe meglio mi levassi le scarpe,
invece ci provo lo stesso e il risultato è che, appena guadatolo, approfitto
della pausa caffè per cambiarmi le calze e far asciugare un po le scarpe… Nel
greto ora irradiato dal sole mattutino, alcuni giovani cavedanelli e barbi si
rincorrono a vicenda, scappando sotto le fronde dei rami che si calano verso le
acque: è davvero un posto magnifico!
MagoZichele in pausa |
Riparto, per nulla dispiaciuto
dall’aver fatto la sosta sui ciottoli del greto anziché sui tavoli dell’area
attrezzata dei Palazzoni, ma subito mi rifermo: sono molto vicino alla zona
dove dovrebbero esserci i resti medievali del Mulino del Tifo. Un nome
abbastanza insolito che probabilmente cela qualche aneddoto storico. Il posto
in realtà è celato alla vista da una folta siepe di rovi e carcavelli, ma con
il machete è facile aprirsi un piccolo pertugio per passare oltre. Del mulino
rimangono davvero poche cose, forse un’adeguata opera di scavo potrebbe rendere
più onore a questo sito, perche si riesce a scorgere solo qualcosa che
assomiglia ad una vasca/cisterna, e qualche pietra sapientemente lavorata per
incanalare il corso d’acqua che asserviva il mulino.
Particolare dei ruderi del Mulino del Tifo |
Da qui in avanti comincia la
lunga salita che dal fiume si stacca verso nord per risalire le estreme pendici
orientali del Monte Quoio. Può apparire come una monotona via su strade carrarecce,
tuttavia non manca di rifarsi gli occhi, lungo il percorso. Quando una grossa
distesa di felci, quando una ripidissima cessa tagliafuoco, ed ecco che in poco
tempo mi trovo già su un largo altipiano che anticipa la cuspide finale del
Monte Quoio.
Lungo la salita al Monte Quoio: un'arida pineta, una distesa di felci, una cessa molto ripida
Il pezzo di salita finale addirittura è anche asfaltato, presumo
per agevolare la salita dei mezzi visto che sulla vetta si trova un grosso
complesso di ripetitori radio, visibile distintamente anche da lunga distanza
tanto che spesso la gente pensa si tratti di un castello. Al suo fianco, un
piccolo stradellino che ne aggira le recinzioni passando vicino a dei vecchi
ruderi forse di epoca medievale, per poi raggiungere la vetta vera e
propria da dove un po’ di panorama è possibile, verso i rilievi del Monte Alto
e del Sassoforte, e i centri abitati di Torniella e Roccastrada. Verso est, più
lontano, ben si distingue Boccheggiano e soprattutto la tondeggiante sagoma dei
miei amati Poggi di Prata. Tutto qua! La vetta del Monte Quoio, complice la
presenza di molti alberi tutto intorno, non offre molto di più.
Da sinistra: il Monte Alto e il Sassoforte; in basso a destra, Torniella |
I Poggi di Prata; in primo piano a sx, Poggio di Cusa (Boccheggiano) |
Decido di scendere lungo il
roccioso crinaletto occidentale, dove sembra ci sia una traccia di sentiero, e
qui il panorama è decisamente migliore in quanto si apre alla vista anche il
Poggio di Montieri con l’omonimo paese, che normalmente è ben protetto alla
vista, proprio dal versante nordest del suo poggio, ma da questa prospettiva è
messo completamente a nudo!
Il Poggio di Montieri e in basso a destra, Montieri |
Esco dal crinale e rientro nelle larga strada
forestale di Scalvaia, che percorro proprio in direzione del centra abitato,
non prima di aver incrociato un enorme capanno dei cacciatori, qui chiamato “La
Vadina di Memmo”. Uno spazio attrezzato di tutto punto, davvero i miei
complimenti per i cacciatori che l’hanno messo in piedi e mantenuto in così
perfetto stato. Sarebbe l’ideale fermarcisi a far pranzo, ma sono ancora le
11.30 e l’idea che ho in testa, ovviamente, è di far pranzo ai Canaloni del
Farma. Mancano ancora 3,5km circa e quindi dovrei arrivarci in perfetto orario.
Di certo è facile mantenere un
buon passo visto che siamo su strada bianca, e questo permette di recuperare un
po’ la media oraria, visto che i tratti di percorso iniziali e finali, quelli
all’interno della Riserva Naturale Farma per intendersi, sono invece su terreno
più sconnesso o insidioso. Mi trovo a Croce a Consoli, dove a intervalli più o
meno regolari, importanti vie si diramano verso sud nella gola del Farma,
quindi presto bene attenzione a prendere quella giusta che dovrebbe portarmi
proprio lungo il fiume, subito prima dei Canaloni. Il tratto finale è in forte
discesa su una bella lastricata di pietre, quindi eccomi nuovamente ricalcare
il bel sentiero che già percorremmo due anni fa, fatto di piccoli saliscendi
contornati da rocce ricoperte di muschio.
Discesa verso il Farma, e sentierino per i Canaloni
Alle 12.30 in punto arrivo nell’assolata
pietraia dei Canaloni: la portata del fiume è molto buona e il colpo d’occhio
sulle cascatelle è bellissimo.
L’acqua, poi, al sole centrale della giornata,
prende un colore verde intenso molto suggestivo. Scendo un po’ a valle e mi
piazzo all’ombra proprio di fianco all’ultima cascata che forma una bella
piscina naturale, per godermi il pranzo in uno scenario da urlo.
Il mio tavolo prenotato per il pranzo ai Canaloni! |
Riparto dopo circa un’ora costeggiando
il fianco sinistro del fiume, fra carpini, aceri e ornelli, fino ai resti della
diga medievale che asserviva la successiva ferriera. L’invaso d’acqua che qui
forma il fiume è meraviglioso e una volta di più testimonia la bellezza di
queste acque. Proseguo e arrivo nella radura dove si trovano i ruderi della più
grande e principale ferriera del Farma, quindi è la volta di guadare di nuovo
il fiume.
Anche stavolta non è facile trovare il punto giusto e devo fare un po’
d’acrobazie per non rischiare di inzupparmi di nuovo i piedi. Il sentiero per
un po’ è ancora segnato, poi me ne discosterò per seguire le indicazioni della
guida. Sono praticamente nello stesso sentiero dove due
anni fa c’eravamo persi, solo che allora non avevamo la certezza che anche
da questa via avremmo potuto raggiungere comunque il Belagaio. Invece adesso
proseguo sicuro, salendo ripidamente su un terreno un po’ sconnesso e poco
frequentato, alternato ogni tanto da delle grosse carbonaie. Dai castagni, che
si trovano nelle zone più basse ed esposte a nord, via via si passa alle scope
e i corbezzoli piu tipiche della macchia mediterranea.
I ruderi della Ferriera |
In mezzo alla lecceta, risalendo verso il Poggio le Macine |
Stando bene attento alle
indicazioni della guida, lascio il sentiero principale per una traccia di
sentiero poco visibile ma intuibile per via delle continue paline di legno che
delimitano i confini della Riserva Naturale, rendendo quindi anche divertente
il prosieguo e l’orientamento. Superato un fosso, va risalito un pendio su
traccia libera fino a raggiungere una strada forestale, e da qui, in direzione
Est, raggiungo facilmente un incrocio di strade dove si trova l’ingresso di un’area
recintata a protezione di alcune rare Betulle autoctone. Bisogna addentrarsi un
po’ superando un paio di ponticini in legno, per raggiungere questi alberi
(consiglio di mantenersi sulla destra). L’intento della Provincia di Grosseto
qui è stato esemplare, peccato che nonostante tutto, non è che preoccupi tanto l’abbandono
della zona, quanto l’abbandono vero e proprio delle betulle, visto che per
terra ne giacciono diversi esemplari. Quelle che ancora resistono, però sono bellissime:
maestose e possenti, si staccano davvero da tutto quanto le circonda, sia per
dimensioni con la loro altezza, sia per colori con la loro corteccia biancastra.
Due bellissimi esemplari di Betulle
Saluto le betulle e
rientro nel mio sentiero, che costeggia per un lungo tratto una recinzione
passando in mezzo alla macchia mediterranea, per poi passare in mezzo ad una
sella fra il Poggio Le Macine e il Poggio La Lite, piuttosto infrascati dalle
recenti tagliate. Infine, rientrando in una lecceta con degli enormi esemplari,
rientro facilmente nella carrareccia dove passa il sentiero segnato che in
breve mi riporta in vista della radura del Belagaio.

Lungo la sella fra i poggi |
Raggiunto l’Imposto, seguo
per poche centinaia di metri la strada sterrata fino a tornare al Centro visite
della Riserva, dove alcuni vivaci cavalli salutano il mio arrivo correndo alla
staccionata. Davvero una bella escursione, con innumerevoli cambi d’ambientazione,
e alcuni spunti naturalistici e storici davvero interessanti, che consiglio
veramente a tutti!!
- MagoZichele -
ma hai trovato anche lo stagno della troscia?
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