Ci
siamo, oggi è sicuramente la giornata più delicata dell’intera Alta Via del
Mago. Il sogno, che dura da un anno circa, è a un passo dalla realizzazione, o
dalla probabile chiusura in un cassetto. Le impressioni avute ieri da Sergio e Marco non sono confortanti,
l’istinto direbbe di tener duro comunque, ma la testa ragiona già in una
situazione remissiva e di ripiego. Questo contrasto di emozioni probabilmente è
la causa di una nottata non passata in maniera ottimale, nonostante sia
riuscito comunque a dormire un po’ (vorrei credere a sufficienza), già a
mezzanotte mi sono svegliato la prima di numerose volte, non rendendomi conto
se era per via dell’altitudine, per via che ero un po’ “tappato” e non
respiravo bene con il naso, o per via, come detto sopra, dei mille pensieri che
mi assalivano. Quello che ricordo perfettamente è che alle 00.00, quando mi
sono svegliato, credevo già di aver dormito per ore..
La sera prima, dopo poco che mi ero coricato all’interno del sacco lenzuolo, mi ero quasi subito dovuto rialzare per chiudere le persiane in legno della finestra, visto che il vento tirava in maniera modesta, sbatacchiando proprio le persiane. Quando mi alzo, alle 5.00, fuori c’è già abbastanza luce, e il vento sembra molto più calmo. Comincio e vestirmi ricontrollando il contenuto dello zaino più piccolo, poi mi affaccio fuori, non sembra molto freddo, il Cevedale è già illuminato dal sole, allora gli scatto una foto, sono circa le 5.15. Alle 5.30 scendo per la colazione, e trovo già Sergio e Marco pronti, per loro colazione già archiviata. C’è anche una coppia di tedeschi che però dovranno attendere l’arrivo di una guida alpina che hanno contattato. Consumata una ricchissima colazione (il vecchio ma pur sempre valido pane, burro e marmellata, fette biscottate, caffelatte, succo d’arancia), e salutata Fabiana che cerca di esorcizzare il mio scetticismo in merito alla riuscita della salita alla Zufall, anch’io mi unisco ai due amici vicentini e in breve siamo fuori, pronti per la partenza.
Ci sono circa 6 °C, non si sta male, a parte un po’ di vento che ancora lancia qualche spiffero freddino. Alle 5.52 la partenza ufficiale, siamo ben coperti ma ci alleggeriremo ben presto, quando cominceremo a salire verso il Passo della Forcola (3030mt). Il passo è abbastanza tranquillo per il mio standard, ma continuo, senza pause. L’andatura comunque credo sia quella giusta, Sergio che tira le fila, sa d’esperienza che le forze serviranno più avanti, quindi inutile partire in quarta. Il cielo è sereno, la giornata, come promesso dal meteo, bellissima. Le conversazioni fra di noi sono molto piacevoli, e spaziano per lo più sul tema della montagna e dell’alpinismo, ci raccontiamo a vicenda un po’ delle nostre esperienze. Il paesaggio nel frattempo muta, finiscono i prati lasciando spazio solo a rocce più o meno rossastre. Ho l’impressione, vedendo come si muovono le poche nuvole in cielo, che arrivati al passo la situazione del vento peggiorerà.
Mi fermo poco prima del passo per scattare rapidamente due-tre foto, in fondo sono qui anche per questo. Raggiungo di nuovo Sergio e Marco quando ormai siamo giunti al passo, e quello che pensavo sul vento, trova conferma. Dalla Val Martello, la valle al di là del passo, arriva un vento abbastanza teso che da la sensazione di accentuato freddo, oltre a rompere un po’ le scatole, quando arriveremo ai passaggi più impegnativi. La visuale, per me che ci sono abituato poco, è spettacolare: la piramide della Cima Cevedale domina severa la lunga discesa di ghiaccio della Vedretta della Forcola, che prosegue anche sotto il passo, scivolando via via verso la Val Martello. In mezzo alla vedretta, voluminose zone crepacciate rendono sinistro il contesto di questa lunga ed enorme lingua di ghiaccio. La Cima Cevedale, da qui, sembra ancora più inarrivabile di prima, e la cresta da percorrere da l’idea di una lama di un coltello sulla quale stare in bilico, anche in realtà so bene che a livello alpinistico quanto sto vedendo non rappresenta nulla di difficile. In ogni caso, per me che sono completamente inesperto, il fatto di essere arrivato sin qui senza tanti problemi, al quarto giorno di cammino, è già di per se positivo.
Ci copriamo bene (lascio ancora la giacca antivento e impermeabile nello zaino, ma metto guanti e sottoguanti, berretto in pile, bandana alla gola) e ci scattiamo un po’ di foto a vicenda sul passo e con il Cevedale alle spalle. A occhio vedo che il sentiero prosegue bene per poche decine di metri, ma le creste rocciose che vedo lungo il nostro cammino promettono poco di buono. Ci avviamo e come temevo, finito un tratto iniziale semplice, iniziamo a salire sulle rocce seguendo via via la via più logica che Sergio sceglie. I suoi consigli, a volte preziosi, a volte superflui, mi aiutano comunque molto ma da un lato mi fanno pensare che lui non si trovi molto a suo agio in questa situazione di dover scortare un Mago inesperto nel passare in questi tipi di percorsi d’alta montagna. Nonostante tutto tengo bene il loro passo, di fatto dandogli nessun rallentamento o ansie.
I
passaggi su rocce sembrano via via richiedere sempre maggior attenzione
nell’essere superati, ogni tanto ci ritroviamo in mezzo a sfasciumi e detriti
anche di una certa mole, molto instabili; bisogna stare veramente attenti a
dove mettere i piedi, e il vento teso non aiuta granché, anzi, sembra quasi
aumentare. Alterniamo i passaggi in cresta passando ora su un versante, ora su
l’altro, e quando siamo sul versante sud, almeno non abbiamo il vento che ci
sferza con le sue folate. In uno di questi passaggi, chiedo un attimo di pausa
per indossare anche la giacca antivento, con questo vento potrebbe essere un
problema indossarla dopo.
Appena
sono di nuovo pronto, vedo che loro nel frattempo hanno superato un punto dove
bisogna in qualche modo tirarsi su e superare un salto roccioso. Su indicazione
di Marco, lancio oltre i massi i bastoncini e cerco di seguire i suoi consigli
su dove mettere i piedi e come spingere bene con le braccia. Sergio lo sento un
po’ brontolare qualcosa in dialetto con Marco, ma nonostante tutto capisco (e
in certo senso lo comprendo) che si senta un po’ a disagio per il fatto di
avermi con loro, in fin dei conti potrei, mano a mano che avanziamo, aumentare
le possibilità di causare loro qualche grana. Nel frattempo, mi trovo
inchiodato in questo punto, non riesco a tirarmi su, anche perché, a differenza
di loro, non ho degli scarponi con la suola sufficientemente rigida per poter
fare la giusta pressione d’appoggio con i piedi, e soprattutto, ma mi vergogno
tremendamente e quindi non glielo dico, i miei scarponi hanno già più di 700 km
alle spalle, e le suole, soprattutto nelle punte, sono già abbastanza andate,
per questo motivo il piede mi scivola via di continuo, dove loro mi indicano di
metterlo.. Tutto questo comincia a mettermi un po’ di sfiducia addosso, oltreché,
razionalmente, portarmi a pensare a quando dovrò rifare questi passaggi, al
ritorno, da solo, e quindi su quanto valga ancora la pena spingersi in avanti.
Marco si offre allora generosamente di darmi una mano aiutandomi in qualche
modo a superare l’ostacolo, ma rifiuto il suo aiuto: se non ce la faccio ora da
solo, come potrei riuscirci al ritorno? Cerco allora un’alternativa rispetto al
modo che hanno seguito loro, e nonostante lo scetticismo di Sergio, riesco con
successo a trovare una fenditura fra due rocce dove, in una scanalatura, posso
appoggiare bene il piede sinistro, e dare la spinta necessaria per tirarmi su! Per
me è una prova d’orgoglio superata che mi infonde una carica positiva immensa!
Passaggi insidiosi fra le rocce |
Il
momento fatidico arriva di lì a poco. Davanti a noi una serie di rocce a
lastroni protesi verso l’alto formano una barriera insormontabile, Sergio
scruta più di una volta fra le rocce alla ricerca di un passaggio, poi torna indietro senza
successo, e decide che per proseguire dovremo calzare i ramponi, scendere nel
ghiacciaio e aggirare almeno questo tratto insidioso, magari unendosi ai 4
della cordata che nel frattempo sono quasi paralleli a noi. Siamo intorno ai
3250mt di altitudine, per me l’ascensione alla Cima Cevedale finisce qui.
Comunico la mia decisione mentre loro in fretta e furia si preparano indossando
anche le ghette, oltre ai ramponi, e li tranquillizzo di fronte al loro non
troppo convinto tentativo di farmi continuare, in fondo così sto facendo un
favore a tutti, loro possono proseguire più tranquilli, ed io eviterò
responsabilmente di cercare schiaffi in piazza. Magari riuscirei anche a
superare brillantemente quest’altro passaggio sul ghiaccio, ma poi? Se poco più
avanti dovessi rinunciare del tutto, e tornare indietro, la prospettiva di
passare in questo ghiacciaio da solo..figuriamoci.. La mia Alta Via, tra
l’altro, deve continuare per altri tre giorni, e questa salita è troppo
impegnativa e dispendiosa a livello di energie, nemmeno lontanamente
paragonabile a quella del Vioz, percorsa
due giorni fa. Meglio quindi risparmiarsi anche fisicamente.
Sergio
si raccomanda ancora una volta, prima di accodarsi alla cordata, di fare
rientro con calma, mentre io li saluto incitandoli per la riuscita, e per
l’arrivederci a quando saranno di rientro al rifugio. Saluto, da qui, anche la
Cima Cevedale, questo sogno irrealizzato, o, se vogliamo vedere il bicchiere
mezzo vuoto o mezzo pieno, realizzato a metà, visto che sono proprio a metà
salita. Segno che questa montagna più di così non aveva da darmi: è una
filosofia che non fa una piega e che tranquillizza l’animo. Infatti, mentre
ricomincio con calma il rientro, mi rendo conto tutto insieme che il vento si è
placato e la giornata soleggiata è veramente bellissima, l’umore in un attimo
ritorna su livelli consoni.
Dopo
aver superato il passaggio difficile che avevo incontrato in salita, e dopo
circa 100mt di discesa, superate alcune rocce instabili, mi fermo su un grosso
masso con una perfetta vista panoramica su tutta la vallata sottostante, per un
po’ di foto e video, e mi accorgo che quassù c’è anche il segnale del cellulare!!
Aaahh questa occasione non me la faccio scappare! Parto subito con l’invio di
sms ad Alessandra (che risponde in diretta), ai miei genitori, e anche foto,
messaggi, la mia posizione gps e quant’altro offerto dalla connessione dati, a
tutti gli amici e colleghi di lavoro. Ne approfitto anche per studiare
attentamente tutte le cime intorno a me, peraltro capendoci anche poco, e
finisco per passare su questo masso una buona mezz’ora.
MagoZichele in pausa si immortala lungo la cresta rocciosa, la Zufall alle spalle..
Continuo la discesa e, poco prima del Passo della Forcola, dopo aver incontrato altre due coppie di persone che salivano, sento dei rumori di sassi che rotolano dalla cresta opposta alla mia, quella che dalla Forcola prosegue fino ad arrivare a Cima Marmotta. Mi fermo, aguzzo la vista e..dopo un po’..un branco di camosci!! Che spettacolo!! Inizialmente sono solo due o tre, poi sbucano da tutte le parti, sono esemplari adulti ma anche più piccoli, e vederli saltellare tranquillamente dove io invece arrancherei a dismisura..che invidia.. Ma insomma, un bel regalo alla fine da queste montagne, ho la possibilità di fare un bel po’ di foto e video, non capita propri a tutti un’opportunità simile. Eccomi di nuovo alla Forcola, l’abbigliamento pesante ora è veramente superfluo, quindi mi alleggerisco un po’, metto su le creme protettive, e comincio la lunga ridiscesa dell’alta Val Venezia, per far ritorno al rifugio Larcher. Sono le 10.00 circa, tutto sommato me la sono presa comoda com’è giusto che sia.
Crepacci di ghiaccio e nuvole floreali, due aspetti contrastanti sopra i 3000mt
Mentre riscendo fra i sassi e gli stradelli, con il sole che picchia abbastanza, mi rendo conto della mia saggia decisione, adesso infatti un po’ di stanchezza sta affiorando; quella di stamattina è stata, alla luce dei tre giorni precedenti e delle ore di sonno comunque non abbondanti, una dura prova sia fisica che mentale. Sogno, timore, vento, freddo, difficoltà, emotività, rassegnazione..ma sono ancora in pista, in mezzo a queste favolose montagne, e l’Alta Via del Mago è ancora realtà!! Alle 11.00 sono di nuovo al rifugio, sento la fame, insieme ad una sensazione piacevole di rientro in un luogo accogliente, un vero rifugio. Mi piace anche questa vita da “rifugiato”, da delle belle sensazioni, ed è diversa da una semplice toccata e fuga di un giorno. Salgo subito in camerata, mi do una sistemata e scendo a mangiare un bel piatto di pasta al ragù e un semifreddo ai frutti di bosco davvero delizioso. Fabiana rimane un po’ incredula nel rivedermi così presto, probabilmente mi credeva più capace, ma io sono comunque convinto della scelta fatta e appagato per l’esperienza odierna. Nel conto della mattinata, va anche aggiunto l’avvistamento di ben tre marmotte, di cui una incredibilmente grossa, mentre un’altra riesco ad immortalarla ferma sopra una pietra. E pensare che in due anni di vacanze in Val Gardena, sono riuscito a vederne solo due..
Dopo
il pranzo mi dedico anche a fare un po’ di bucato, un’operazione oramai
diventata consuetudine e che sa tanto di “vita da rifugiato”, quindi piacevole
al tempo stesso, come il riordinare le cose nello zaino, o fare il punto della
situazione sui livelli di carica di cellulare, fotocamera e gps, o ancora, il
mettersi a buttare giù due righe sul diario di viaggio, e non lasciare per
strada situazioni ed emozioni degne di nota. Più di una volta, con il piccolo
monocolo, getto uno sguardo verso il Cevedale, nella speranza di vedere qualche
movimento: chissà a che punto sono Sergio e Marco?? Ho modo anche di prendere
più conoscenza e confidenza con il rifugio Larcher, un ambiente accogliente,
camerate tranquille (anche per il poco traffico in verità, almeno
infrasettimana..) e un personale disponibile ed alla mano. L’impressione
generale è che, quassù a 2600mt, tutto sia ben organizzato. Oggi è anche
l’occasione per fare conoscenza con Manuel, il marito di Fabiana, gestore del
rifugio, un ragazzo semplice e molto tranquillo. Lo becco, a dir la verità, in
un momento un po’ sottotono per lui, reduce il giorno prima da un ricovero in
pronto soccorso per un malore a livello gastro-intestinale. Anche lui minimizza
la mia rinuncia alla Zufall, e mi fa invece i complimenti per la scelta di
affrontare questo lungo tour in solitaria.
Lo spettacolo offerto da un branco di camosci
Riordinate un po’ di idee, decido che nel pomeriggio farò una piccola sgambata fin poco sopra il Lago Marmotta, poco oltre i 2700mt, senza cercare troppo affaticamento, in una zona dove sembra esserci, con il vento a favore in discesa e tutti i pianeti allineati, un po’ di segnale per il telefonino. Il meteo, consultato su internet sul loro PC portatile, per domani sembrerebbe ancora buono, speriamo. Sarebbe una fortuna avere cinque giorni consecutivi di bel tempo, e poi domani mi aspetta la Vedretta del Careser, che dovrebbe essere alla mia portata, un ghiacciaio molto semplice da affrontare perché veramente poco ripido, anche se per me è la prima volta in assoluto, quindi il solito timore reverenziale per la montagna mi attanaglia lo stesso. Tra l’altro, a meno di incontri casuali, stavolta sarò davvero da solo.
Quando
sono pronto a lasciare il rifugio, alle 15, ecco che rientrano Sergio e Marco,
ce l’hanno fatta! Accodandosi alla cordata, dove c’era una guida alpina, sono
arrivati in cima sia alla Cima Cevedale, sia al Monte Cevedale, il panettone
bianco di poco più alto (3769mt), leggermente più a sud-ovest rispetto alla
Cima Cevedale. Da lì Sergio mi spiega che poi hanno fatto rientro sul percorso
dell’andata, ma “tagliando” un tratto di percorso, passando diretti nel
ghiacciaio sottostante il Monte Cevedale, seguendo le indicazioni della guida
alpina. Sono veramente esausti, Sergio deve andare di corsa a mangiare qualcosa
perché ha una fame da lupi, nel viso sono entrambi cotti dal sole. Mi dice che
io non ce l’avrei sicuramente fatta, e come dargli torto? Probabilmente la mia
Alta Via, ammesso e concesso che ci fossi arrivato a tutti i costi, sarebbe
finita oggi, non ne avrei avuto più per i giorni successivi. Questa per me è,
se mai ce ne fosse stato bisogno, la prova consolatoria che la scelta fatta di
tornare indietro, stamani, è stata assolutamente sensata e razionale. Li saluto
calorosamente e a Marco do la mia email e l’indirizzo del blog, così potremo
scambiarci le foto fatte e poi..aspetterò una loro visita sul blog quando avrò
pubblicato il racconto!
Salgo
dunque lungo il sentiero n.104 fino al Lago Marmotta, che oggi con il sole è
molto più bello di ieri, e poi allungo ancora un po’ sul sentiero che sale
verso la vicina Cima Nera, fino a fermarmi, intorno ai 2850mt, su un bel
terrazzo erboso da dove si domina con la vista tutta la Val Venezia, la Val
Lago Lungo, ma soprattutto il Vioz, il Palon de la Mare e le due cime Cevedale.
La vista è splendida, la giornata bellissima. Un sacco di persone, quest’oggi,
fanno avanti e indietro per questi sentieri. Non scenderei mai di qui. Faccio
delle belle foto su questo pianoro, le marmotte sembrano impazzite oggi, ne
vedo altre tre. Verso le 16.00 riscendo e mi porto sui dossi rocciosi indicati
da Fabiana, nella speranza di beccare un po’ di segnale per il cellulare. Anche
da qui, in posizione un po’ più bassa, la visuale sulla Val Venezia e sulla più
bassa Val de la Mare è davvero bellissima; con il cellulare, dai e ridai,
riesco a parlare con mia suocera e con il mio Dario che mi trasmette delle
bellissime emozioni mandandomi per telefono un bacino. Provando e riprovando
mando anche un sms ad Alessandra, rimandando a domani la conversazione a voce,
poi, sono circa le 16.30, decido di rientrare al rifugio, con in programma una
bella cioccolata calda.
Ma le sorprese per il Mago non erano ancora finite. Questa giornata aveva ancora altro da dare.
Mentre
mi rincammino, fatti pochi passi, una signora, all’altezza dell’incrocio di
sentieri che scende verso il Rifugio Cevedale, mi urla implorando aiuto. Il
messaggio è chiaro, il Mago scatta!! In un lampo sono da lei e mi dice, molto
sconvolta, che un signore, all’altezza del Lago Lungo, sta malissimo, in preda
a fortissimi crampi alle gambe e, impossibilitato a muoversi, ha delle grosse
difficoltà respiratorie e si rotola per terra! La gravità con cui si pronuncia
lascia poco spazio ad interpretazioni, allora velocemente tiro fuori dallo zaino
il fischietto che porto sempre dietro per richiamare l’attenzione in casi
d’emergenza, e mi butto a capofitto in una corsa a rotta di collo giù per il
sentiero, in direzione del rifugio, per chiamare i soccorsi. Una ragazzina, che
era insieme alla signora, mi strilla anche lei parole incomprensibili..ma
dov’è??..Eccola lassù, inerpicata sulla piccola crestina che separa la Val
Venezia dall’invaso del Lago Marmotta, tentare un’improbabile quanto pericolosa
discesa diretta verso il rifugio, completamente fuori traccia del sentiero. Urlo
anche a lei di tornare sui propri passi e di aspettarmi dalla signora,
all’incrocio, e nel frattempo, continuando a correre in discesa a rotta di
collo saltando sui sassi, lancio a intervalli regolari qualche fischio con il
fischietto ben saldo sulle labbra. Ogni tanto getto qualche occhiata verso il
rifugio ma non vedo nessun movimento, nessun allarmismo: possibile?
La discesa sembra non finire mai, il cuore pompa a mille, più di una volta mi viene da pensare: e se adesso scivolo io?? Inutile, se questa cosa può servire a salvare una vita, porsi queste domande. Arrivo al rifugio senza voce, la bocca che cerca ossigeno dove sembra non esserci, butto a terra tutto quello che ho ed entro. Fuori dal rifugio, nemmeno una persona, ecco perché nessuno si era allarmato ai miei fischi. Dentro c’è solo Fabiana, seduta ad un tavolo, che sta facendo credo un solitario con le carte. Ricordo perfettamente il suo sguardo severo quando mi vede così stravolto, capisce subito che c’è qualche problema. Con un filo di voce gli spiego l’accaduto, allora in un attimo sale di sopra a chiamare Manuel. Ecco Manuel che scende dopo un minuto, e cerca subito di ottenere più dettagli possibili su cosa sia successo. Non posso che confermargli, da parte mia, solo ciò che mi è stato riferito dalla signora che ha dato l’allarme. Il suo timore è che la situazione non sia così tragica da richiedere l’intervento dell’elisoccorso ma tutto sommato, basandosi su quanto mi è stato riferito, non è che la situazione possa lasciare spazio a molte scelte. A questo punto, porgendomi la radiotrasmittente del rifugio, mi chiede se posso fargli il favore di tornare dalle signore (e quindi dall’infortunato), mentre lui chiama l’elisoccorso. Lui non ha le forze per correre lassù, ha ancora i postumi del malore di ieri mattina.
E
così comincia una nuova corsa, stavolta in salita, per tornare dai 2600mt del
rifugio, ai circa 2720mt dove mi stanno aspettando la signora e la ragazzina,
che, sento, continuano a lanciare urla di soccorso. Cerco di urlargli a mia
volta ma non mi sentono. Vorrei dire loro che l’elicottero è stato chiamato, ma
che andrà segnalata la presenza dell’infortunato, in qualche modo. Quindi che
si avviino pure. Niente, non mi sentono. E così, ansimante, arrivo di nuovo in
cima alla salita, da loro due, e quando gli chiedo dove si trovi di preciso
l’uomo e me lo indicano, mi prende un colpo!! Si trova lungo il sentiero n.123,
quello che va verso la diga del Careser, molto più in la del Lago Lungo, sarà
almeno un altro km! Manuel nel frattempo mi chiama alla radio chiedendo
conferma dei sintomi dell’uomo e invitandomi a fare il segnale di braccia
alzate all’arrivo dell’elicottero. E se arrivasse troppo presto? E poi
quell’uomo come starà? Ok, via di nuovo di corsa!
MagoZichele in compagnia delle cime Cevedale e del bel Lago Marmotta
Adesso, anche se prevalentemente in piano, siamo pur sempre sui 2600mt, correre a queste altitudini non è il massimo per me, non l’ho mai fatto. Tuttavia, nella testa mi ronzano già mille pensieri, sull’avventura inattesa che questa giornata alla fine mi abbia riservato, visto che era cominciata un po’ diversamente e un po’ sottotono rispetto a quello che avrebbe dovuto essere. E pensare che questo pomeriggio avrei dovuto approfittare per riposarmi a sufficienza..altro che Zufall!!.. Adesso sono un puntino infinitesimale in mezzo a queste immense e millenarie valli, che sta correndo verso altri puntini bisognosi d’aiuto. Forse non avrei saputo chiedere di meglio..
Arrivo
in vista dell’uomo e di sua moglie. Il signore sta decisamente meglio, giacché
lo vedo in piedi e lo sento parlare, ma si sorregge con i bastoncini ed è in
preda continua dei crampi, impossibilitato a muoversi. Sono Dario (pensa un po’
che coincidenza, lo stesso nome di mio figlio..MagoZichele ha davvero nel
destino il prendersi cura dei Dario!!) e Rina. La moglie, molto agitata,
visibilmente scossa per l’aver visto suo marito in preda ad una crisi
respiratoria, mi dice di aver visto la disperazione con gli occhi, quando ha
visto suo marito per terra, cambiare colore. Parlo con loro, seppur con un filo
di voce, cerco per quanto mi è possibile di tranquillizzarli, ma non è semplice
mostrarsi calmi quando il cuore ti pulsa all’inverosimile. Anche senza
intendermene molto, gli dico subito che se davvero non ce la fa, l’unico
rimedio sarà quello di farsi scortare dall’elicottero; mi sembra la cosa più
sensata, visto che, dal punto dove ci troviamo, Malga Mare, dove hanno l’auto,
è ancora molto lontana.
Dai dossi rocciosi, ancora due belle viste sulla Val Venezia e sulla Val de la Mare.
Dopo un po’ di minuti ci raggiungono la signora e la ragazzina, anche loro ancora visibilmente emozionate e scosse. Infine, ecco la chiamata di Fabiana, che sta accorrendo sul posto. Anche lei non si immaginava fossero così lontani! Dopo 5 minuti arriva anche lei, portando zucchero e the per l’infortunato. Anche lei si mette a parlare con l’uomo e con sua moglie, per tranquillizzarli. In questi momenti intensi, tutti tirano fuori quello che hanno, e così, ognuno comincia a parlare un po’ di se, dove abita, di dove è originario, quali parenti abbia nelle zone limitrofe..insomma, come se tutti ci si conoscesse da tempo. In altre circostanze saremmo stati tutti dei perfetti sconosciuti. E’ la semplice e disarmante potenza della solidarietà, che in casi come questi supera tutte le barriere. Con Fabiana solo per un attimo ci scambiamo increduli uno sguardo che sa di sorpresa, di avventura!
Tutto
d’un tratto, ecco arrivare distintamente, dalla valle, il rombo delle pale
dell’elicottero, del potente Agusta AW139. Il momento è emozionante, è la prima
volta che un elicottero ronza così vicino sopra la testa del Mago! Ci sediamo
tutti per terra, stringendoci agli zaini, in un attimo intorno noi il boato delle pale crea un vortice
assordante, non riusciamo a sentire quello che diciamo, io urlo di continuo
alla ragazzina di tenere gli occhi chiusi, perché sta volando di tutto. Alzo un
attimo lo sguardo e vedo già, un paio di
metri sopra di me, gli scarponi della dottoressa e del suo assistente che si
stanno calando, ci stanno passando proprio sopra! In un attimo sono a terra e
si precipitano dall’uomo. L’elicottero si allontana depositandosi nella piccola
valle antistante il Lago Lungo, in attesa della richiamata della dottoressa.
Seguono
tutte le prassi tipiche di un soccorso medico, tutto sommato l’uomo sta bene ma
non è in grado di camminare in perfetta autonomia. Ricevo di continuo i
ringraziamenti della signora che per prima mi ha visto, e racconta l’accaduto
anche al soccorso alpino. L’assistente della dottoressa smonta subito il mio
inorgoglimento ricordandoci che ci siamo dimenticati di fare il segnale di
braccia alzate..sì..e chi se lo ricordava più??..
In
breve l’uomo è già pronto con l’imbragatura, lo saluto calorosamente con una
stretta alla spalla, l’elicottero viene richiamato, e tutti riprendiamo
posizione per terra. Stavolta però l’occasione è troppo ghiotta, e anche con
una sola mano, accendo la fotocamera e comincio a filmare tutta la sequenza di
recupero dell’uomo. Sicuramente un documento inaspettato e un bel ricordo di
tutta l’Alta Via del Mago!! A dir la verità non sono molto sicuro del
risultato, perché il turbinio mi porta continuamente i capelli davanti gli
occhi, ma insomma, alla fine non mi lamento. In un attimo l’elicottero si
allontana, cominciamo a risentire le nostre voci; l’eccitazione di Rina, della
signora e della ragazza, è ancora forte, nonostante il buon esito.
Con Fabiana, le riaccompagniamo indirizzandole lungo il sentiero n.146, più breve e più semplice per tornare a Malga Mare. I battiti del cuore, intanto, a me ancora non accennano a calmarsi, così come il respiro affannato. Salutandoci, Rina, che già aveva provato invano con Fabiana, vuole donarmi 50€ come riconoscenza. Non sia mai, queste cose, questi gesti, sono istintivi e non possono avere un prezzo. Capisco comunque il suo desiderio e la voglia di ringraziarmi e in un certo senso sdebitarsi, giacché difficilmente le nostre strade potranno incrociarsi di nuovo. Con un po’ di affanno, visto che la signora prende via quasi di corsa, riesco a riconsegnargli i 50€, strappandogli la promessa di una donazione all’ALICAT. Per la cronaca, nei giorni successivi al mio rientro a casa, riceverò questa bellissima email di ringraziamento dal Sig.Dario, che parla da sola:
Con Fabiana, le riaccompagniamo indirizzandole lungo il sentiero n.146, più breve e più semplice per tornare a Malga Mare. I battiti del cuore, intanto, a me ancora non accennano a calmarsi, così come il respiro affannato. Salutandoci, Rina, che già aveva provato invano con Fabiana, vuole donarmi 50€ come riconoscenza. Non sia mai, queste cose, questi gesti, sono istintivi e non possono avere un prezzo. Capisco comunque il suo desiderio e la voglia di ringraziarmi e in un certo senso sdebitarsi, giacché difficilmente le nostre strade potranno incrociarsi di nuovo. Con un po’ di affanno, visto che la signora prende via quasi di corsa, riesco a riconsegnargli i 50€, strappandogli la promessa di una donazione all’ALICAT. Per la cronaca, nei giorni successivi al mio rientro a casa, riceverò questa bellissima email di ringraziamento dal Sig.Dario, che parla da sola:
Gentile signor Zago,Sono Dario, l'uomo che ha soccorso il 26 luglio sul sentiero dal rifugio Cevedale per Careser, vicino al Lago Lungo.La informo che sono stato dimesso dall'ospedale di Cles. E' tutto passato, lasciando solo una profonda stanchezza nelle gambe.Dovrò fare delle cure per la circolazione e stare d'ora in poi molto più prudente nell'affrontare camminate di una certa durata.
Ho chiesto alla signora del Rifugio Cevedale se avesse un Suo indirizzo mail, perchè il messaggio che Le ho spedito il giorno dopo mi è tornato indietro per indirizzo errato. Desidero vivamente ringraziarLa. Ho apprezzato in particolare la professionalità e il senso di umanità che mi ha molto aiutato in quel momento difficile.
Come anticipatoLe da mia moglie Rina, desidero approfittare dell'occasione della fortuna di avervi incontrato per una piccola offerta all'organizzazione umanitaria di solidarietà con l'Africa cui Lei aveva accennato.Attendo dunque le indicazioni per dove versare la mia offerta.
Grazie di nuovo di cuore.
Salutate
le donne, con Fabiana facciamo rientro al rifugio, sono quasi le 18.00, il sole
comincia pian piano a prendere i contorni giallo acceso, preludio a un lungo
tramonto. Con lei ho una piacevole chiacchierata, parliamo un po’ delle nostre
vite, dei nostri figli (il suo piccolo, Samuele, ha 5 anni e come il mio Dario
odia terribilmente fare la doccia!!), delle nostre vedute. Mi parla di come si
sia innamorata del mare della Sardegna, e della loro vita di sacrifici,
sudandosi tutto quello che finora posseggono. Forse retoricamente, vedo in lei
lo stereotipo della persona di montagna, con un carattere forte, deciso, e
semplice allo stesso tempo. Al rifugio raccontiamo l’accaduto fra l’incredulità
dei presenti, e orgogliosamente ricevo anche i ringraziamenti da Manuel.
Salgo
di sopra in camerata anche per darmi una rapida lavata, ma sento già una fame
da lupi!! In camerata Monte Vioz ho la compagnia di un gruppo di 4 signori di
Firenze (pensa te!) con i quali socializzo subito; domattina anche loro
andranno sul Cevedale. Scendo per la cena, gustosa e abbondante come sempre,
poi è ancora la volta del racconto della giornata, al tavolo con i quattro
fiorentini, mentre Fabiana ci offre una grappa da loro prodotta veramente
deliziosa, e per dirlo io che non sono affatto un amante delle grappe..
Anche
il piccolo Samuele osserva incredulo il filmato di questo grande elicottero che
tira su tre persone come fossero formichine. Dietro il nostro tavolo, una
coppia di tedeschi, marito e moglie, anche loro inequivocabilmente ospiti del
rifugio, questa notte. I fiorentini si ritirano in camerata, io non posso fare
a meno di chiamare Alessandra con il telefono del rifugio, per raccontargli
l’incredibile giornata trascorsa.
Infine
è il momento dei saluti con lo staff del Rifugio Larcher al Cevedale, che per
due giorni è stata la mia casa. Con Fabiana ci ringraziamo vicendevolmente per
le avventure di questi due giorni, poi Manuel mi da un po’ di dritte per il
nuovo sentiero che dovrò affrontare domani per l’attraversamento della Vedretta
del Careser, in direzione del Rifugio Dorigoni in val di Saént (dove mi
incaricano di portare a Cecilia i loro saluti), e controlla anche la situazione
meteo, che ancora mette bel tempo (e vai!). Facciamo anche una rituale foto
ricordo per il blog, poi consueto scambio di email e anche con loro la promessa
di un commento, a racconti pubblicati.
Salgo
in camerata e velocemente mi corico sul letto, visto che i fiorentini sono già
a letto. Il pensiero è già proiettato a domani, un altro momento delicato di
questa Alta Via, l’attraversamento per la prima volta di un piccolo ghiacciaio,
seppur tecnicamente non impegnativo, ma in solitaria, con uno zaino di 15kg
sulle spalle, e con l’accumulo sulle gambe di questi quattro intensi giorni,
culminati con l’incredibile fuori programma del tardo pomeriggio. Spero di
essere in forma per domani e non avere ricadute.
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